Il Padre Santo

San Francesco Maria da Camporosso (1804-1866), chiamato dai genovesi “Padre Santo”

Per quarant’anni fu fulgido esempio di virtù, nel silenzio del chiostro, come nelle strade tumultuose della città e tra la gente indaffarata del Porto.

S. Francesco M. da Camporosso – che il popolo venera col nome di PADRE SANTO – nacque a Camporosso, presso Ventimiglia, il 27 dicembre 1804 da modesti e pii genitori: Anselmo Croese e Antonia Maria Garzo.

Trascorsi gli anni giovanili nell’umiltà della vita dei campi, sentì la voce di Dio che lo chiamava allo stato religioso. A 21 anni fu accolto nel Convento dei Cappuccini di San Barnaba in Genova, dove trascorse con fervore il suo anno di noviziato. Dopo il noviziato, scese nel Convento della SS. Concezione, dove rimase fino alla morte.
Nei primi anni esercitò gli umili uffici della vita conventuale: cuoco, infermiere, aiuto cercatore. Poi fu fatto “cercatore di città”.

 

Umile “poverello di Cristo”, fu “più beato nel dare che nel ricevere” e per tutti ebbe “pane, consiglio, conforto”.

Con candore d’animo e semplicità di cuore, disseminò grazie e miracoli tra i molti che a Lui ricorrevano.
Chiuse la sua vita con un atto supremo di carità offrendosi vittima per il popolo genovese nella epidemia colerica del 1866. Morì il 17 settembre. Il suo corpo è venerato nella chiesa dove visse.
Fu beatificato da Pio XI il 30 giugno 1929.
Giovanni XXIII lo canonizzò il 9 dicembre 1962, durante il Concilio Ecumenico Vaticano II.
è particolare Patrono della gente dei porti e del mare.

Chiesa della Santissima Concezione e Padre Santo

Grazie ai contributi di benefattori e del Banco di San Giorgio fu possibile raccogliere la somma per acquistare il terreno (11 febbraio 1593) e fare edificare la chiesa, dedicata alla SS. Concezione, in ringraziamento per la protezione ricevuta durante la peste del 1579. Il progetto realizzato secondo i canoni della povertà dei cappuccini prevedeva che la croce e la piazza della chiesa fossero “in prospettiva d’ambo le parti della città”; la costruzione procedette rapida: nel 1596 vi fu celebrata la prima messa e nell’aprile del 1598 vi venne ospitato il capitolo provinciale con oltre 400 frati. Da subito gli artisti più prestigiosi del tempo arricchirono con la loro opera l’umile chiesa e fra questi si ricordano in particolare G.B. Paggi e Bernardo Strozzi, che entrò anche a far parte dell’Ordine.

I frati oltre a provvedere alle opere in legno e di ebanisteria diedero l’avvio ad attività collaterali quali una farmacia, che tuttora sopravvive nel nome, una biblioteca, una fra le più fornite della città di allora ed un lanificio (1635), attività che sempre caratterizzarono il convento come ben riporta l’Alizeri: “Non ha in tutta Genova santuario veruno che concilj pietà, non recinto che prometta più schietta pace, non faccia di tempio che più inviti a raccoglimento”.

Grazie alla munificenza di benefattori la chiesa ricevette opere di pregio come un gruppo di quadri di Esteban Murillo (1674), opere di G. Palmieri e di G. Banchero; da ricordare la preziosa collezione di statuine del presepe fra le quali da citare quelle di Giulio Casanova del XVII secolo, di G.B. Gaggini, di A.M. Maragliano, fra le quali il notissimo mendicante dallo sguardo triste e quello dal labbro leporino, di G. Pittaluga.

Nel 1669, la necessità di accogliere le tombe di illustri Genovesi, fra i quali spicca il poeta dialettale Martin Piaggio, portò alla costruzione de “li nobili cimiteri” attorno alla cappella – cripta sotto il grande coro, grazie al contributo della famiglia Giustiniani; nel 1835, a seguito dell’ordinanza che vietava la sepoltura dei morti all’interno delle chiese, venne eretto al limite del sagrato un apposito oratorio su disegno del giovane architetto G. Vittorio Pittaluga.
Durante il periodo napoleonico la chiesa subì le conseguenze delle leggi contro i religiosi ed i frati abbandonarono una prima volta il convento; sei tele del Murillo vennero perdute e disperse in vari musei del mondo. Rientrati, i Cappuccini dovettero nuovamente lasciare il convento a causa della legge di soppressione del 1866 e solo nel 1905 vi fecero stabile ritorno.

Molti sono stati i frati che hanno legato il loro nome alla chiesa, fra i quali si ricordano Fr. Tomaso da Trebiano ( † 1634) e Fr. Felice da Marola, ma il più noto è senz’altro S. Francesco Maria da Camporosso ( † 1866) che già in vita ebbe l’appellativo di Padre Santo.
Morì di colera nel 1866, venne beatificato nel 1929 e fatto Santo da Papa Giovanni XXIII nel 1962; le sue spoglie, dal 1931, riposano in un tempietto annesso alla chiesa opera dell’ing. Lagorio realizzata da Max Forni.

A partire dal 1937 iniziarono importanti lavori di restauro e riordino degli spazi, che continuarono dopo il secondo conflitto mondiale. Dal 1967 la chiesa e parte del convento ritornarono in proprietà della Provincia. Dal 1934 al 1955 e poi dal 1967 ad oggi il convento è sede della Curia provinciale.

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